Le opere artistiche
A cura di Vito Alessandro Cancellaro.
A cura di Vito Alessandro Cancellaro.
Il primo ciclo pittorico, databile a inizio XIV sec., è situato nella prima grotta a sinistra del cancello di ingresso. Negli affreschi vengono rappresentati a partire da sinistra: l’Incoronazione di Maria, di gusto vagamente aragonese, con ai suoi piedi San Giovanni Battista e un altro santo, e sul lato sinistro due monaci in preghiera; l’edicola al cui interno vi sono alcuni brandelli di affreschi non riconoscibili; la rappresentazione della Natività, molto singolare per la posizione distesa di Maria, che ricorda quella della grotta di S. Maria del Parto a Sutri (VT).
“ Chiese rupestri
di bellezza arcana
lì sui monti svettanti al sole
o di nebbia coperte che nasconde il sito,
chiese scavate nella roccia antica,
ricarichi siete di silenziosa pace.
Il pellegrino va, sognando il suo destino
e trova asilo nel tuo cuore di pietra.
Quante storie passate, quante preghiere
avete raccolte dei poveri in cammino.
La tua immagine materna , o Maria
guarda, sembra sorridere e tu
attendi un segno
che ti rincuora e ti riconosca ancora.
Presso di te il cuore trova pace
come l’acqua del fiume verso il mare
che entra dentro e più non appare.”
Bruno Schettino
Il secondo ciclo pittorico, databile tra XIV e XV sec. è situato all’interno della seconda grotta in un’abside naturale della chiesa. L’edicola e’ costituita da un altare sormontato da un arco. Ai due lati vi sono raffigurati i Santi martiri Lorenzo e Stefano, mentre al centro, in una cornice trilobata, vi è San Giacomo di Compostela con scene raffiguranti alcuni suoi miracoli. L’ intradosso della volta è ricoperto dai dodici apostoli, mentre sulla chiave di volta e sull’imposta vi sono delle figure che riportano al Vangelo.
Le pitture non particolarmente significative da un punto di vista qualitativo, risultano, invece, molto importanti a livello figurativo. San Giacomo è rappresentato con i suoi attributi tipici: il bordone (bastone tipico del viator) una bisaccia trapezoidale e la conchiglia. Le scene ai suoi lati rappresentano tre miracoli legati alla tradizione dei pellegrinaggi a Compostela: le prime tre di sinistra rappresentano il miracolo dell’impiccato; la prima in alto a destra il miracolo del pellegrino morto e le ultime due il miracolo delle mele d’oro. Il modo in cui vengono raffigurati i viatores è simile a quello della grotta di S. Maria del Parto, in cui vi sono raffigurati dei pellegrini intenti a raggiungere la grotta di S. Michele nel Gargano. Gli affreschi delle due grotte sono un importante documento che testimonia la diffusione dei culti micaelici e iacopeici nell’italia medievale lungo le principali direttrici dei pellegrinaggi.
“…s’avverte il passaggio consapevole dalla concezione estetica bizantina, legata a rigido simbolismo, a una maggiore fluidità di linee, vicina alla maniera cavalliniana e poi giottesca, diffusa nelle nostre contrade dalla scuola di Roberto d’Oderisio”
Antonio Tortorella
A destra, le tre scene raffigurano il miracolo dell’impiccato: narra la storia di un giovane pellegrino ingiustamente accusato di furto, il quale fu condannato a morte; l’Apostolo, invocato dai genitori (raffigurati con i tipici abiti dei pellegrini nella seconda scena), lo salvò quando era già sulla forca sostenendogli le gambe (prima scena), cosicché i genitori andarono dal pretore della città riferendogli il miracolo, per farlo liberare; questi non credette a quanto raccontato e disse che il figlio era vivo come il gallo e la gallina imbanditi sulla sua tavola, ma enunciate queste parole i due pennuti saltarono fuori dal piatto tra i presenti sbalorditi (terza scena). I riquadri a destra rappresentano altri due miracoli legati tra loro: un pellegrino morto viene resuscitato grazie all’intercessione di S. Giacomo che, invocato dal suo fedele compagno di viaggio, li conduce a cavallo a Santiago (prima scena); dopo essere tornati in patria, l’amico fedele si ammala di lebbra ed il compagno per guarirlo non esita a lavarlo nel sangue dei suoi figli, come gli è stato suggerito da una voce (terza scena); i piccoli sono tuttavia salvati dall’Apostolo, che offre loro prima del sacrificio una mela d’oro come protezione (seconda scena).
Sempre nella seconda grotta, sulla parete a destra dell’altare, troviamo il terzo ciclo di affreschi. Partendo da sinistra, quasi del tutto rovinato, viene raffigurata Santa Caterina d’Alessandria martire con un ciclo di scene della sua vita. Di questo terzo ciclo rimane intatta la figura di San Benedetto, e una Madonna con Bambino portata da Angeli, di forma rotonda, che lascia intravedere un profondo legame con quelle orientali di matrice greca. Tra i brandelli di affreschi è possibile individuare la figura di un Santo con un cielo stellato sullo sfondo e con parti di un Crocifisso. Queste figure porterebbero a pensare ad una rappresentazione legata al culto di San Francesco d’Assisi, come la rappresentazione dell’ Impressione delle stimmate. La presenza di questi Santi testimoniano i diversi culti della tradizione religiosa locale. Per Santa Caterina, infatti, è documentata la presenza di una piccola chiesa parrocchiale posta tra la Chiesa madre di S. Michele Arcangelo e il Convento di Sant’Agostino. Ad oggi della costruzione dedicata alla santa non vi è più traccia a seguito del terremoto del 1857. L’unica traccia del culto padulese di Santa Caterina è presente nella Certosa di San Lorenzo, in un trittico trecentesco insieme a San Lorenzo e San Tommaso d’Aquino.
L’attuale conformazione dell’altare è il risultato di una serie di stratificazioni
che si sono succedute nei secoli. La prima testimonianza è il riuso al centro
dell’altare di una base attica di una colonna, forse proveniente dal vicino sito
di Cosilinum. Il prospetto frontale è rivestito in marmo bianco di fattura moderna, risalente agli anni 70. La sopraelevazione, in marmo bianco e grigio, posta a protezione della statua, risale al 1980, così come
scritto nella lapide commemorativa posta in cima. Le restanti facce dell’altare
presentano, invece, pitture floreali e decorative che ricordano quelle presenti nelle cappelle laterali della chiesa in Certosa. Gli affreschi del 1693 sono a firma di Michelangelo Caputo, già affrescatore per conto degli
stessi certosini della Cappella delle donne in Certosa. La parte posteriore di tali affreschi risulta occultata da un muro in blocchi realizzato per sostenere la soprelevazione del 1980, creando un vano tra il vecchio altare e il nuovo.
A protezione dell’altare fu realizzata una volta, composta da una sola fila di
mattoni posti di taglio con il lato lungo in orizzontale e rivestiti nell’intradosso da un intonaco grezzo con pietre incastonate. La volta fu realizzata probabilmente in contemporanea all’altare, per coprirlo dai frequenti gocciolamenti all’interno della grotta. Da notare come la quota di calpestìo della navata è stata ribassata per innalzare l’ altare. Tale scavo è visibile nel basamento della tomba, nel pilastro dell’ingresso e al di sotto della parete est.
La tomba risulta composta da un vano ricavato nella roccia chiuso da una parete su cui è posta una lapide commemorativa in pietra di Padula datata 1538, sulla cui sommità vi è un busto in marmo di Carrara raffigurante l’abate Bernardino Brancaccio, che scelse l’eremo come luogo di sepoltura. La composizione e le figure antropomorfe e vegetali che si intrecciano richiamano le opere di inizio cinquecento realizzate a Napoli e in Certosa ad opera delle botteghe dei Malvito e di Andrea Ferrucci. In particolar modo, quest’ultimo aveva avuto modo di lavorare per la famiglia Brancaccio proprio a Napoli.
Alla destra dell’altare vi è affrescato il Crocifisso, in buono stato di conservazione. L’affresco presenta una vistosa patina bianca superficiale e diverse mancanze, forse dovute ad un taglio effettuato per far spazio nella roccia al piano di imposta della volta in mattoni che si sviluppa proprio al di sopra di tale manufatto. Nel piccolo affresco è rappresentata la crocefissione con due figure di Santi nei riquadri laterali, mentre due figure raccolgono il sangue di Gesù dalle mani, dentro dei calici.